Curiamo il secondo cervello

Pancia e attività cerebrale si condizionano a vicenda. Le ultime scoperte della ricerca.


Con le intuizioni della Pnei non è più possibile studiare efficacemente l’attività del sistema nervoso, dell’endocrino, dell’immunitario e della psiche separandoli fra loro. La ragione è fra le più semplici. Ecco riassunta in poche parole l’innovazione: nella realtà del vivente i sistemi s’influenzano reciprocamente, dialogano fra loro, utilizzando molecole e mediatori che, al tempo stesso, possono fungere da neurotrasmettitori, ormoni e citochine. lo studio delle emozioni, la definizione delle aree cerebrali interessate e la loro connessione con il sistema dello stress e quindi dell’immunità, sta facendo emergere la base scientifica per chiudere definitivamente la storica separazione-contrapposizione tra mente e corpo.

Le connessioni sono talmente strette e reciproche chi si può affermare, senza ombra di dubbi, che dentro di noi è in vita un asse cervello-pancia» L’indirizzo della Psiconeuroendocrinoimmunologia (Pnei) ha dato modo di scoprire questa connessine tra apparati del corpo e attività cerebrale.
Da questa sintesi arriva la scoperta del collegamento fra intestino e i due cervelli. Un collegamento assai più stretto e coinvolgente di quanto si possa immaginare. La ragione? nell’intestino agisce una rete nervosa di un certo livello.

Vi si trovano oltre cento milioni di neuroni che sono in grado di gestire le attività intestinali e che si collegano al cervello per l’intermediazione del sistema nervoso vegetativo (non è influenzabile dalla nostra volontà). Questa fitta rete nervosa intestinale, per dimensioni e modalità di funzionamento, è stata per l’appunto denominata dai neuro-anatomisti che l’hanno studiata di recente, «secondo cervello». il cervello in pancia (enterico) è strettamente connesso con quello centrale e i due cervelli gestiscono un fitto dialogo: si tratta di relazioni in entrambe le direzioni e che vanno dal primo al secondo e viceversa.
In parole povere il primo cervello (quello cranico) è capace di alterare il normale funzionamento del secondo, interferire con i suoi ritmi e attraverso queste influenze disturbare la peristalsi, la produzione di acidi, enzimi, ormoni, ecc. Ma è esattamente vero anche il contrario. Anzi basandosi sull’anatomia, quello in pancia (enterico) sviluppa connessioni, in maggior misura, verso quello centrale. Eventuali disordini intestinali possono produrre effetti negativi su quello centrale.

La via della depressione

E torniamo al primo cervello. Le sue influenze sul secondo sono così forti che possono aprire la strada anche alla depressione. In questo caso il centro della scena lo tiene la serotonina, una molecola molto nota, se è carente, per il suo legame con la depressione. A che serve la serotonina in pancia? A iniziare il riflesso peristaltico, a mantenere il tono vascolare. In definitiva a fungere da regolatrice dei movimenti e dell’attività digestiva. Contemporaneamente serve come segnale al cervello: segnali positivi come la sazietà o negativi come la nausea. Per esempio, in caso di infiammazione intestinale si verifica un eccesso di serotonina che manda in tilt i sistemi di riassorbimento e desensibilizza i recettori, con il bel risultato di causare un blocco della peristalsi intestinale con costipazione. Contemporaneamente, l’infiammazione attiva fortemente l’enzima che demolisce la serotonina e quindi si può presentare, con il tempo, a livello cerebrale, un forte deficit di serotonina con comparsa, appunto, della depressione. Quindi ciò che si mangia è in grado di influenzare il nostro umore, agendo sul cervello.

Pasti ben combinati

Wurtman, direttore del Centro di ricerche cliniche del Mit (Massachusetts institute of technology), che dimostrò come la composizione di un pasto, se a prevalenza di carboidrati o di proteine, influenza la quantità dell’aminoacido triptofano disponibile per la sintesi di serotonina cerebrale. C’è da aggiungere che Wurtman, in collaborazione con John D. Fernstrom, neuropsichiatria dell’università di Pittsburgh, dimostrò che la serotonina cerebrale è in relazione alla disponibilità del suo precursore triptofano e che il triptofano passa nel cervello in quote superiori se il pasto è ricco di carboidrati e povero di proteine. È il trionfo delle combinazioni alimentari. Tutto questo però non significa impinzarsi di pasta e dolci, ma di cereali integrali, legumi, verdura e frutta che sono ricche di acido folico e favoriscono il buon umore. Il segreto sta nell’equilibrio dei diversi nutrienti, nella loro combinazione e nel tempo di assunzione. Occorre stare attenti anche all’eccesso di grassi: una stretta relazione fra sovrappeso e infiammazione.

Per quanto riguarda il colesterolo, uno dei più grandi cardiologi, Ray H. Rosenman, ha evidenziato come possa crescere in relazione allo stress e che non solo la dieta ma un corretto stile di vita è in grado di tenerlo sotto controllo: fare moto, stare all’aria aperta, non fumare, non bere alcol. Legato allo stress è anche l’aumento di peso, a causa dell’incremento di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali. L’ormone cortisolo non fa solo ingrassare ma stimola anche il rilascio di dopamina che rinforza positivamente la reazione di stress. Dunque per l’obesità è giunto il momento di lasciar stare la genetica e di mettere sul banco degli imputati il famoso cibo spazzatura, ricco di grassi e di materie prime scadenti. Il fast-food, come documentato ne è ben provvisto.

Agire su più fattori

Insomma è sempre più chiaro che occorre avere una pancia in buona salute e per centrare l’obiettivo è il caso di indirizzarsi sulla dieta vegetaliana o latto vegetariana. Uno studio recente dopo quello del ’91 di Jens Kjeldsen Krag, immunologo dell’università di Oslo, ha mostrato che la dieta vegetariana stretta, senza glutine, latte e suoi derivati, migliora decisamente l’artrite reumatoide e le infiammazioni in generale. Dunque, stop alla carne ricca di omega-6 dei quali consumiamo una quota che è 20-25 volte superiore a quella di omega-3 che si trovano in prevalenza in pesce e verdura. Gli Omega-3 hanno la caratteristica di ridurre la produzione di sostanze infiammatorie.

CANCRO DEL COLON-RETTO

Il tumore lo si affronta con stile
Agire su alimentazione e attività fisica è uno dei principali modi per diminuire il rischio di ammalarsi. Come insegna l’esperienza dell’Associazione di Bologna per le malattie dell’apparato digerente

di Massimo Ilari

I tumori del colon-retto rappresentano attualmente il 15 per cento di tutti i tumori e sono all’origine di un’elevata mortalità per entrambi i sessi: in Europa e nei paesi occidentali, in genere, rappresenta la seconda causa di morte per tumore sia nell’uomo che nella donna. L’incidenza è in aumento mentre la mortalità è decisamente stazionaria con un trend che tende al ribasso. Per dare una visione del fenomeno abbiamo sentito l’Aimad (Associazione italiana malattie apparato digerente) intervistando per i nostri lettori il dottor Giovanni Lercker, Direttore di scienze degli alimenti dell’università di Bologna, che si occupa di prevenzione primaria e il dottor Nicola D’Imperio, Direttore unità operativa di gastroenterologia ed endoscopia digestiva, presso gli ospedali Maggiore e Bellaria di Bologna e Presidente dell’Aimad che si occupa di prevenzione secondaria.

Per la prevenzione c’è da considerare che recenti indagini sperimentali evidenziano che solo il 10 per cento dei tumori del colon-retto è di natura ereditaria. Incide, quindi, in modo sensibile lo stile di vita ed è soprattutto su questo che occorre intervenire se si vuol dare forza alla prevenzione. In questo caso si parla di prevenzione primaria che si rivolge alle persone sane e tende a eliminare l’esposizione agli agenti cancerogeni noti: inquinamento, sostanze chimiche e fisiche presenti negli ambienti di vita e di lavoro, fumo, alcol e, soprattutto, un’errata alimentazione. Si stima che il 70 per cento dei tumori potrebbe essere prevenuto con una dieta adeguata. La prevenzione secondaria, invece, tende a scoprire le neoplasie nella loro fase iniziale. Si basa sui programmi di screening e sulla diagnosi precoce che permette ottime probabilità di successo delle cure.

Crudo? È meglio

Approfondiamo il tema con il professor Giovanni Lercker, direttore delle Scienze degli alimenti dell’Università di Bologna e consigliere dell’Aimad.


«La parte del leone la fanno ambiente, stile di vita scorretto e l’alimentazione non equilibrata. Per l’alimentazione, ci sono alimenti che sono associati ad un’incidenza maggiore e altri che svolgono un ruolo di protezione».

Quali sono i cibi che aumentano il rischio?


«Sono gli alimenti trattati termicamente, cotti a elevata temperatura per tempi prolungati. È noto l’effetto cancerogeno della carne ai ferri o altri prodotti alla brace. C’è poi da dire che carne e grassi favoriscono la produzione di sostanze che possono aumentare il rischio di cancro al colon, e non solo di colon-retto. Particolarmente pericolose le carne rosse. Invece, a operare un’elevata protezione sono i vegetali: contengono fibra che accelera il percorso delle sostanze di rifiuto nel tratto intestinale. Cinque porzioni di vegetali e frutta rappresentano oggi l’ideale di una dieta. Tutti mostrano di saperlo ma ben pochi lo fanno. Su questo tema insistiamo molto nei nostri corsi di formazione. Anche l’olio extravergine d’oliva sembra avere un effetto protettivo in relazione proprio al controllo dello sviluppo del cancro del colon-retto. Ottimi i cereali per il contenuto di fibra, ricordando che quelli integrali ne contengono molto di più di quelli normali.
Per quanto ci riguarda stiamo cercando di farci finanziare un progetto, rivolto all’Emilia Romagna, per verificare se l’incidenza maggiore in certe zone e minore in altre possa essere messa in relazione e in che quote con l’ambiente e le cattive abitudini alimentari».


Lo stile di vita con la scelta del consumo di prodotti biologici offre vantaggi rispetto a prodotti convenzionali?


«Direi proprio di sì. Difettano, però, dati certi visto che nessuno ha mai verificato o ricercato da un punto di vista sperimentale in che quote».


La dieta vegetariana può essere d’aiuto?


«Sicuramente aumenta il consumo di alimenti che sono protettivi».


Si parla di stili di vita. Che cosa vuol dire?


«Il pericolo numero uno è la sedentarietà. La posizione sedentaria e per tempi lunghi crea la modificazione della canalizzazione, cosi come si dice in gergo biomedico, cioè la percorrenza del tratto intestinale. La scarsa percorrenza nel tratto intestinale apre la strada al cancro a carico del colon-retto».


Privilegiando alimenti crudi si protegge meglio il colon-retto?


«Innanzitutto per i motivi che abbiamo già esaminato e poi perché la cottura provoca una diminuzione di componenti nutritivi che sono importanti come protettivi. Prendiamo la vitamina C che è termosensibile. È chiaro che in tutti i prodotti cotti e che contengono vitamina C, alla fine della preziosa vitamina ne troviamo abbastanza poca. Il fresco e il crudo nella dieta dovrebbero rappresentare il 70 per cento. Oggi purtroppo negli stili di vita sono preponderanti tutti quei prodotti molto facili da preparare e che richiedono poco tempo per cucinare e che evidentemente sono poco freschi.